Posted On Novembre 4, 2016 In Intelligence With 1705 Views

Terrorismo politico e terrorismo religioso: due facce della stessa medaglia?

di Ilaria Severini


“One man’s terrorist is another man’s freedom fighter “ – “Colui che è un terrorista per qualcuno è un guerriero della libertà per qualcun altro”
Paura: stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte ad un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso; più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente.
Questa è la definizione di paura data dall’Enciclopedia Treccani. Questo è lo scopo del terrorismo: ovvero quello di arrestare il normale corso della vita, la progettualità, la libertà di muoversi, incontrarsi, in cambio di una vita spesa nell’attesa di un pericolo che potrebbe arrivare: un pericolo senza nome, senza forma, senza volto, cieco di ogni emozione, pronto a portare a termine la propria missione incurante del dolore che si lascia dietro.
Il terrorismo come lo intendiamo oggi, si forma con la rivoluzione francese: il terrore instauratosi durante questo periodo, anche se perpetuato da un regime e non da un piccolo movimento clandestino, mostrò per la prima volta che un popolo poteva essere influenzato da un sentimento sociale di timore diffuso, tenuto vivo da pochi uomini che lo sfruttavano per manovrare una nazione.
Non esiste una definizione che inquadri bene questo concetto. Possiamo dire che il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni criminali violente, premeditate ed atte a suscitare clamore come attentati, stragi, ecc, ai danni di istituzioni statali e/o pubbliche, governi, gruppi politici, etnici o religiosi.

Nel periodo tra il 1945 e il 1989 il mondo fu caratterizzato da un ordine bipolare, a cui si uniformò anche il terrorismo, diviso ideologicamente tra un terrorismo di destra e uno di sinistra e appoggiato, sempre non ufficialmente, dall’una o dall’altra delle due grandi potenze. La fase storica dell’Italia più legata al terrorismo è quella che va dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’80 ed è legata alla strategia della tensione.


Curiosità
Strategia della tensione

Strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario. L’espressione fu coniata dal settimanale inglese The Observer, nel dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana, generalmente considerata l’avvio della s. della t., sebbene alcuni studiosi ne retrodatino l’inizio alla strage di Portella della Ginestra (1947) o al cd. piano Solo del generale De Lorenzo (1964). La bomba di piazza Fontana costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie della società italiana, di gruppi neofascisti, ma probabilmente anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato, non privi di complicità e legami internazionali, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-69 e all’avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. L’arma stragista fu usata ancora nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974, all’indomani della vittoria progressista nel referendum sul divorzio (strage dell’Italicus, strage di piazza della Loggia), e ancora nel 1980 (strage di Bologna), ma non fu l’unica espressione della s. della t., la quale passò anche attraverso l’organizzazione di strutture segrete, in alcuni casi paramilitari e comunque eversive (Rosa dei Venti, Nuclei di difesa dello Stato, loggia P2 ecc.), i collegamenti internazionali (le strutture Gladio o Stay-behind), la progettazione e la minaccia di colpi di Stato (il piano Solo del 1964, il tentato golpe Borghese del 1970), e infine la sistematica infiltrazione nei movimenti di massa e nelle organizzazioni extraparlamentari, comprese quelle di sinistra, al fine di innalzare il livello dello scontro.


Gli atti terroristici hanno usualmente come obiettivo principale non tanto gli effetti diretti derivanti dai danni alle persone o cose, quanto quello delle loro ricadute indirette, come ad esempio la modifica della linea politica dei destinatari finali delle azioni o la risonanza mediatica che le stesse azioni conseguono grazie ai mezzi di comunicazione di massa. Alcune azioni terroristiche prendono di mira persone, monumenti, edifici o luoghi con un forte valore simbolico, positivo o negativo, molto presenti nell’immaginario popolare.
Funzionale a questo effetto di risonanza può essere anche l’efferatezza, la ferocia e l’enormità dei gesti stessi di distruzione: sequestrare cento bambini in una scuola può essere più funzionale alla strategia del terrore che colpire un obiettivo militare di importanza strategica. Sicuramente il primo gesto avrà molto più risalto mediatico. Per questo il terrorismo propriamente detto è un fenomeno caratteristico specialmente del XX secolo, il primo periodo storico in cui l’umanità dispone di media in senso stretto.
Un movimento terroristico che ha successo e che miri al coinvolgimento di ampie fasce di popolazione, può anche portare ad una resistenza armata ed alla costituzione di un esercito di guerriglieri.
Occorre distinguere i casi in cui le azioni mirino a fare nuovi proseliti e ad un coinvolgimento popolare, da quelle che non hanno questo tipo di visione ideologica.
Alla luce di quanto detto sinora, possiamo dire che il terrorismo presente in Italia durante gli anni della strategia della tensione non voleva irretire proseliti. Attraverso stragi portate avanti colpendo obiettivi della vita sociale e culturale di una città, volevano far in modo che il governo si indebolisse. Il movente principale, quindi , di questa strategia è ravvisato nella destabilizzazione della situazione politica italiana. Partendo da tale presupposto, tra le cause determinanti, vi sarebbe stato il tentativo di influire sul sistema politico democratico, rendendo di fatto instabile la democrazia.
Strumento di tale strategia sarebbero stati i gruppi terroristici, infiltrati e determinati a compiere azioni tali da creare allarme e terrore nell’opinione pubblica. O, semplicemente utilizzati al fine di giustificare misure come l’instaurazione di uno stato di polizia o di una dittatura comunista. A completare questa strategia contribuiva lo sfruttamento mediatico di attentati effettuati da normali terroristi.
Per quindici anni l’Italia è stato un Paese insanguinato dalla logica del terrore. Una logica stragista al servizio di finalità politiche per nulla oscure: il condizionamento della vita democratica di una nazione e la lotta politica concepita come scontro senza quartiere e improntata al ricatto del terrore. Destabilizzare per stabilizzare.
Per quanto feroce, il terrorismo italiano è sempre riconducibile ad un fenomeno locale, con scarsa incidenza sugli equilibri e gli scenari mondiali. Il terrorismo islamico fino a qualche anno fa rientrava in questa categoria.
Dopo l’11 settembre l’Occidente e il mondo intero si sono sentiti minacciati. Questi timori non sono poi così infondati: infatti, tornando al terrorismo “nostrano”, le Brigate Rosse, anche nel momento di maggiore espansione, erano costituite da qualche migliaio di persone che restavano isolate non solo nell’ambito della nazione, ma anche nella stessa parte della sinistra estrema alla quale facevano riferimento.
Ma il terrorismo islamico, sembra essere tutt’altra cosa. Supera i confini delle singole nazioni, va al di là del mondo islamico stesso, intende colpire gli occidentali in generale, anche se all’interno delle proprie terre, e potrebbe avere un seguito ampio di masse ed essere sostenuto da Stati. Mosso da una cieca fede religiosa, non sembra preoccuparsi delle conseguenze rimettendo tutto nelle mani di quel Dio al quale credono di ubbidire.

Non è facile definire in modo esaustivo il terrorismo di matrice islamica, perché assume aspetti e caratteri molto diversi. Sicuramente il tratto che più lo distingue e che lo rende ancor più incomprensibile agli occhi degli Occidentali, è il suicidio religioso. Il combattente islamico porta la strage nell’ambito dei nemici facendosi saltare con l’esplosivo secondo un rituale abbastanza preciso, nella prospettiva di raggiungere immediatamente il paradiso. In Occidente viene impropriamente denominato “kamikaze”, ma egli è uno “shaid”, termine coranico che significa martire.


Curiosità
Shaid

Lo Shaid è una persona che si lascia esplodere uccidendo indiscriminatamente tutti quelli che sono intorno a lui.


Da un punto di vista storico, il radicalismo islamico, nasce soprattutto dalla constatazione dolorosa della condizione di debolezza, di penosa inferiorità in cui il “dar al islam” (il regno dell’islam) si trova rispetto al mondo europeo cristiano.
Altro elemento di distinzione è che l’Islam non sembra comprendere la differenza che noi facciamo fra politica e religione: le due cose, più o meno, coincidono. In Iran, ad esempio, tutte le leggi devono essere approvate da un consiglio di esperti (teologi), perché ogni decisione è legittima solo e in quanto applica la legge divina o almeno non è in contrasto con essa. Noi consideriamo questa commistione tra politica e religione propria del mondo islamico, ma non è così. Siamo noi occidentali, che abbiamo acquisito, anche se credenti, una concezione laica della politica e dello Stato.
Quindi il mondo musulmano vede fatti politici e religiosi strettamente interconnessi tra loro. Si sente dominato ed egemonizzato dall’Occidente: ma questo significa conseguentemente, che è egemonizzato dai cristiani, o peggio ancora, dagli atei. La difesa delle loro nazioni, della loro civiltà diviene allora, naturalmente, la difesa della fede: ogni combattente è un martire della fede che si immola per la maggior gloria di Allah, più o meno allo stesso modo in cui i nostri crociati sentivano di compiere un dovere religioso. Ogni “Shaid”, dal suo punto di vista, legittimamente si aspetta che quel Dio per il quale si immola lo ricompensi immediatamente. Egli lancia il suo grido “Allah Akbar” per dimostrare la sua fede nella onnipotenza di Dio che darà vittoria ai credenti ed il premio eterno ai suoi combattenti.
I musulmani moderati, le élites culturali, invece, si sono resi conto della differenza che vige in Occidente tra religione e politica e comprendono che le riforme politiche ed economiche europee non intaccherebbero affatto l’Islam: si può essere un buon musulmano anche seguendo la “american way of life”, che è possibile integrarsi nel mondo moderno senza perdere la propria fede.
Ne è un esempio la strage del 13 novembre 2015 avvenuta a Parigi. Il Bataclan non è solo un posto di ritrovo per i giovani parigini, ma è un importante simbolo di integrazione. Il locale viene, infatti, abitualmente frequentato da giovani cristiani e musulmani. L’attacco, che ha avuto come conseguenza circa 100 vittime (che hanno perso la vita all’interno del locale) e molti feriti, aveva lo scopo di intimorire la gioventù cristiana, per aver accettato e, in qualche modo, traviato quella musulmana, considerata colpevole, a sua volta,di aver perso la pura fede islamica.
E’ quindi in atto una specie di gigantesca lotta culturale e purtroppo anche politica e militare fra queste due anime del mondo musulmano.
Bibliografia
Colonna Vilasi A., (2009), Il terrorismo, Milano, Mursia.
Fouad Allam, K., (2014), Il Jihadista della porta accanto, Casale Monferrato, Piemme.

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