Posted On Ottobre 19, 2015 In Criminalistica With 2118 Views

La Biometria: strumento di identificazione e autenticazione

di Nicolina (Nikka) Mastrangelo

La biometria è una scienza che ha origini molto antiche,misura le caratteristiche peculiari degli individui ed è uno strumento di riconoscimento in continua evoluzione.

Le tecniche Biometriche, compreso il DNA sono un potente strumento informativo, da un punto di vista biologico, investigativo e forense. Sono applicate nelle pratiche quotidiane e irrompono costantemente nella nostra sfera personale ogni qual volta ci viene chiesto di dare prova della nostra identità. Le tecnologie che consentono ciò non appartengono a situazioni irreali e futuristiche.

La biometria, dal greco bìos (vita) e metros (conteggio o misura) è quindi la misura della vita, la scienza che ha come oggetto di studio la misurazione delle variabili fisiologiche o comportamentali tipiche degli organismi, attraverso metodologie matematiche e statistiche, e nell’odierna accezione informatica, intende l’identificazione automatica o la verifica dell’identità di un soggetto sulla base di caratteristiche fisiche e/o comportamentali. Proprio per l’incessante richiesta generalizzata di misure atte ad incrementare la “sicurezza”, nel mondo si sta rapidamente diffondendo un’approfondita conoscenza ed evoluzione delle tecniche biometriche.

Il riconoscimento della persona sulla base di caratteristiche fisiche ha origine già nell’antichità, quando istintivamente e inconsapevolmente le persone venivano distinte grazie a voce, comportamento e volto. Ma è nell’800 che l’intuizione di A. Bertillon (capo della sezione identificazione criminali della polizia di Parigi) portò all’uso di misure del corpo, come altezza, lunghezza delle braccia, dei piedi, delle dita, per identificare responsabili di crimini. Alla fine del XIX F. Galton ed E. Henry perfezionarono questa intuizione giungendo alla conclusione che le impronte digitali potessero essere un carattere di estrema univocità tra gli individui per cui distintivo. Questa scoperta segnò il passo tanto che da quel momento in poi le polizie di tutto il mondo cominciarono ad acquisire e memorizzare in appositi archivi le impronte di criminali, detenuti e sospettati.

Grazie allo sviluppo delle tecnologie si è passati a sistemi di rilevazione manuali e di archiviazione cartacei a sistemi di rilevazione digitali e di archiviazione informatici, per cui a database accessibili istantaneamente per la comparazione internazione. Ma non solo, grazie allo sviluppo di particolari strumenti per il rilevamento delle impronte è divenuto via via possibile rimuovere impronte da ogni tipo di superficie e per cui indispensabili in ambito investigativo e forense.

La scienza biometrica comincia, quindi, a essere impiegata nelle attività giudiziarie e anticrimine, e a trovare sempre maggiore applicazione in campi come la gestione e l’assicurazione della sicurezza. Oggi, in piena èra digitale, un numero elevatissimo di persone e istituzioni utilizza tecniche di riconoscimento biometrico, non solo nel campo della giustizia, ma anche in applicazioni civili e militari.

Le tecniche di riconoscimento personale hanno come interesse l’autenticazione e la verifica diretta dell’identità della persona (prova dell’effettiva identità dichiarata dal diretto interessato), nonché l’identificazione indiretta per mezzo delle caratteristiche biometriche disponibili. Si può fare una distinzione per le tecniche di riconoscimento biometrico in tecniche basate sul riconoscimento di aspetti statici o fisiologici che includono, riconoscimento della geometria della mano, delle impronte digitali, caratteristiche dell’iride e della retina, tratti somatici del volto, e in tecniche basate sul riconoscimento biometrico di aspetti dinamici o comportamentali come caratteristiche della voce, apposizione della firma, andatura. Le principali caratteristiche fisiologiche o comportamentali che possono essere utilizzate per l’identificazione personale devono soddisfare alcuni requisiti essenziali, in base alla definizione data dalla Commissione Europea:

  • Universalità: ogni individuo possiede quella data caratteristica
  • Unicità: non esistono due persone che condividano la stessa identica caratteristica biometrica
  • Permanenza: la caratteristica biometria deve rimanere immutata nel tempo
  • Misurabilità: la caratteristica biometria deve poter essere rilevate quantitativamente
  • Accuratezza
  • Accettabilità: approvazione da parte degli utenti
  • Affidabilità: la loro acquisizione deve garantire un elevato grado di affidabilità

Alle suddette tecniche va ad aggiungersi l’analisi del DNA, il più potente tra gli strumenti biometrici per la sua immane capacità informativa e la crescente possibilità di utilizzo delle informazioni in esso contenute in tempo reale; di fatto al momento non è incluso tra le tecniche di riconoscimento previste dalla legislazione vigente a causa della complessità intrinseca e della invasività nella sfera intima della persona.

Lo spoofing è la falsificazione del dato biometrico. Teoricamente le impronte digitali sono uniche, così come la firma o le caratteristiche facciali. Quindi le tecniche biometriche dovrebbero rappresentare la soluzione più avanzata per garantire la sicurezza degli accessi, tuttavia nella realtà non è così: i sistemi biometrici di riconoscimento possono essere ingannati con facilità. È ormai noto che con semplici metodi e materiali è possibile riprodurre solchi e creste di un polpastrello di una persona realizzando “dita artificiali” le cui caratteristiche sono simili in tutto a quelle della pelle umana. Tali falsi sono in grado di “ingannare” un sensore elettronico per impronte digitali ed anche “confondere” il sistema. Anche in questo campo le soluzioni al problema sono sempre più concrete tanto che esistono algoritmi che per prestazioni di riconoscimento si pongono nel panorama dello stato dell’arte. In Italia grazie alla cooperazione tra il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche dell’Arma dei Carabinieri, il PRA Lab (Pattern Recognition and Application Lab) è stato sviluppato un tool per l’elaborazione di impronte digitali latenti, nel quale sono stati implementati anche algoritmi per il riconoscimento delle falsificazioni.

Il DNA, ormai noto a tutti anche come acido desossiribonucleico, è una molecola contenuta in tutte le cellule del nostro organismo, organizzato in 23 coppie di cromosomi (22 coppie autosomiche e 1 coppia legata al sesso), per una lunghezza di circa un metro, compattata per essere contenuta nei pochi micron del nucleo cellulare.

Il DNA ha le caratteristiche di: unicità (non esistono due individui al mondo con lo stesso corredo genetico, a parte i gemelli omozigoti); è uguale in tutte le cellule e non varia durante il corso dell’esistenza; per metà deriva da un genitore e per metà dall’altro (questo comporta che ciascun gene abbia due forme alternative definite alleli).

Queste caratteristiche fanno si che sia un esclusivo strumento biometrico. Al pari delle impronte digitali le origini dell’identificazione e del profiling genetico sono non poco recenti.

I marcatori utizzati per l’identificazione individuale sono i polimorfismi STRs, diffusi anche sui cromosomi sessuali e sul DNA mitocondriale, mtDNA, (i mitocondri sono ornanelli intracellulari responsabili del metabolismo della cellula e dotati di proprio corredo genetico). Negli ultimi anni si è sviluppato un crescente interesse per questi markers grazie alle loro particolari caratteristiche. Infatti, oltre ovviamente ad indicare il sesso di un individuo, nel caso dei cromosomi X e Y, hanno modalità di trasmissione peculiari che li rendono utili nei casi deficitari di paternità controversa e, più generalmente, nello studio dei rapporti di parentela tra individui, e ancora nelle indagini criminalistiche riguardanti casi di violenza sessuale in cui è fondamentale poter distinguere un profilo maschile in misture di materiale biologico contenente in genere una quantità elevata di DNA della vittima di sesso femminile. Inoltre l’mtDNA diventa essenziale in casi di DNA fortemente degradato poiché presenti nella cellula in un numero piuttosto elevato.

Il cromosoma Y, inoltre, essendo posseduto in singola copia soltanto dagli individui di sesso maschile, ed essendo trasmesso da padre in figlio senza ricombinazione durante la meiosi è utile per gli studi di genetica di popolazione. L’mtDNA è trasmesso essenzialmente dalla madre ai figli durante la fecondazione e la formazione dello zigote, ha un basso tasso di mutazione e basso potere discriminante. Viene impiegato essenzialmente in studi di identificazione di persone scomparse rispetto ad un parente in linea materna (parenti in linea materna hanno sequenze uguali), di ritrovamenti o disastri di massa.

 

Il profiling del DNA trova applicazione in:

  • Test di paternità/maternità/parentela
  • Casi di violenza sessuale
  • Match traccia biologica – individuo sospettato/vittima
  • Identificazione di persone scomparse
  • Identificazione nei disastri di massa
  • Costruzione di banche dati

Come già detto, nel caso di campioni repertati molto spesso ci si trova davanti a una non facile interpretazione dovuta essenzialmente a contaminazioni (ambientali e umane) o alterazione dell’integrità.

 

Bibliografia

Biometrics at the Frontiers: Assessing the impact on Society, European Commission, 2005.

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