di Crim. Int.
Molte sono le motivazioni che spingono i ragazzi europei ad assumere il ruolo e le vesti di Foreign Fighters, combattenti stranieri che decidono di sposare un credo, un’ideologia, ben lontana da quella biografica e autoctona, che, non di rado, sfocia in un vero e proprio arruolamento presso le fila dell’esercito miliziano.
I miliziani europei: una minaccia emergente
Sulla base delle stime costantemente aggiornate e rese note dai Servizi di Informazione, sono tanti gli europei che hanno deciso di votarsi al fondamentalismo islamico. Di questi, più di tremila sono partiti concretamente verso la Siria per combattere in maniera accesa al fianco dei miliziani dell’Isis, divenendo essi stessi componente attiva dell’esercito miliziano. Nella stessa direzione procede l’aggiornamento dei dati che i media divulgano quotidianamente.
Uno degli ultimi aggiornamenti conta in diciottomila i foreign fighters che avrebbero già varcato il confine. Circa un terzo di questi sarebbero di nazionalità europea.
L’appeal esercitato dal salafismo su queste nuove leve di miliziani europei nasce a partire dalla semplicità e dalla superiorità morale che lo stesso Isis ha fatto propri, e che dissemina attraverso una strategica propaganda capace di uncinare tutti quei giovani umiliati, arrabbiati, sottomesi, discriminati e politicamente repressi nei Paesi europei.
In un’era come quella attuale, instabile e confusa, la conversione ad un salafismo rivisto in termini radicali, va a rappresentare un punto di partenza per la costruzione di nuovi ideali in grado di offrire stabilità e senso di riconoscimento.
Per spiegare meglio come il fenomeno stia emergendo in Europa, basta dare uno sguardo agli articoli relativi alle biografie di tutti quei mussulmani francesi, inglesi, tedeschi, olandesi, italiani, che cercano risposte esistenziali nell’Islam assoluto.
È il caso ad esempio dei due ventenni britannici, Nasser Muthana e Reyadda Khana, scomparsi a Cardiff, in Galles, più di un anno fa, e ricomparsi su Youtube in un video propagandistico dell’Isis. Nel video indossano turbanti bianchi, imbracciano mitragliatrici e inneggiano alla guerra santa invitando altri giovani a rispondere alla chiamata e a recarsi in Siria a combattere per Allah. Il vessillo che compare alle loro spalle è quello nero dell’Isis. Il messaggio lanciato è chiaro: entrare nei ranghi dei mujaheddin per partecipare al jihad.
In questo, come negli altri filmati che spopolano ormai sul web, l’arruolamento all’Isis viene presentato quasi come fosse l’iscrizione a un campo boy scout, quando in realtà ciò che i miliziani chiedono ai mussulmani è di andare a uccidere altri mussulmani, spesso a sangue freddo e con esecuzioni sommarie.
Sono molte le storie di chi, anche in Italia, ha fatto il salto verso il fondamentalismo islamico, decidendo di divenire foreign fighter o rimanendo nel nostro Paese a fornire supporto alla rete del terrorismo. Dall’analisi biografica delle decine di combattenti partiti dall’Italia, filtrano storie vissute nelle periferie povere di grandi città o in solitudine di fronte a un computer. Sono in questo caso “lupi solitari” difficili da intercettare quelli che meritano l’appellativo di “homegrown”, terroristi fatti in casa. Le storie dei nostri miliziani parlano di parabole che si consumano sulla rete, sui social media, dove molto materiale è italiano e di facile fruizione.
Molto spesso il contributo che gli italiani danno all’Isis si estrinseca oltre che attraverso il rinforzo militare, anche attraverso il supporto di cellule che si radicalizzano in rete e che prima di dimostrarsi validi combattenti, si prestano come validi supporti logistici al transito per lo più di origine balcanica.
L’idealizzazione del salafismo da parte degli stessi, che ricordiamo non va ridotto né identificato con l’estremismo o il terrorismo, porta una rivoluzione all’interno di queste vite. Da elementi passivi di una società occidentale, divengono fruitori attivi di una religione in grado di elevarli nella scala sociale e permettergli di guardare dall’alto verso il basso il resto della società. Il disagio, reale o percepito, che rappresenta spesso il fattore di avvio al processo di radicalizzazione, non ha quindi valenza territoriale perché scarsa è la qualità delle relazioni sociali , individuali, che sta alla base di questi comportamenti.
Sono questi medesimi ambiti ad aver già prodotto in alcuni Paesi europei una rilevante quota di aspiranti combattenti jihadisti regolarmente formati in campi specializzati in Paesi extra-europei.
Bibliografia
J. SkidmoreResearch Assistant, (2014), Foreign Fighter Involvement in Syria ICT, International Insitute of Counter-Terrorism;
Vidino L., (2014), Mappa dei Foreign Fighters europei, Milano, ISPI;
Sitografia
Isis: un gallese e due francesi tra i boia dei soldati uccisi in Siria,www.corriere.it/…/isis-studente-inglese-medicina-dei-boia-soldati-9da5b1d0;
Brown L. and Dolan A.and Williams D., (2014), Father of Nasser disowns him after beheading Video for the Daily mail;