Sembra che la prevalenza nelle varie lingue di uno dei tre termini – ‘disastro’, ‘catastrofe’ o ‘emergenza’ – dipenda solo da una preferenza d’uso, quello che è chiaro è come l’evoluzione abbia portato ad un estensione degli eventi disastrosi e delle loro cause, siano esse naturali o artificiali o indotte.
Negli ultimi 40 anni la definizione di disastro o catastrofe è stata associata e fusa a quella di emergenza, dove per emergenza è da intendersi quella sociale scatenata da qualsivoglia evento.
In linea generale, superati ostacoli puramente linguistici sono state formulate varie definizioni di disastro; tra le più esplicative e complete quella di Fritz, che nel suo articolo “Disaster” di Charles E. 1961. “Disaster.” Pp. 651-694 in Contemporary Social Problems, edited by R. Merton and R. Nisbet. New York: Harcourt, dice che è da considerarsi disastri di massa
“eventi accidentali o incontrollabili, reali o temuti, concentrati nel tempo o nello spazio per cui una società o una parte di essa relativamente autosufficiente passa attraverso un grosso pericolo e subisce perdite dei suoi membri e delle sue appartenenze fisiche tali che la struttura sociale è sconvolta e lo svolgimento di tutte o di alcune delle sue funzioni esistenziali è impedito”.
La definizione di catastrofe data oggi dalla FeMa, l’agenzia del Governo degli Stati Uniti d’America, facente parte del Dipartimento della Sicurezza Interna, che svolge funzione di protezione civile (Federal Emergency Management Agency, in lingua italiana Ente Federale per la Gestione delle Emergenze) è:
“ogni incidente naturale o artificiale, compreso il terrorismo, che si traduce in numero straordinario di vittime di massa, di danni o disagi gravi che colpiscono la popolazione, infrastrutture, ambiente, economia, morale della nazione e/o funzioni di governo”.
Quest’ultima definizione è in linea con quella data precedentemente da Jensen, nel 1999.
Da queste si evince chiaramente la traduzione in un’esigenza di azione e coordinamente a livello pratico e soprattutto unificato a livello internazionale; tanto più che nel corso della storia si sono verificate diverse catastrofi tutte aventi in comune un aspetto di rilevante interesse medico legale: il numero delle persone morte quindi da identificare.
Queste esigenze sono state tradotte in un piano d’intervento unico, su iniziativa dell’Inperpool che ha dato vita nel 1980 alle DVI, Disaster Victim Identification: attività volte all’identificazione delle vittime coinvolte in grandi disastri.
La guida parte dal presupposto che quando si verifica una grave catastrofe un solo paese può non avere risorse sufficienti per far fronte a perdite di massa, e in alcuni casi la catastrofe può aver danneggiato o distrutto le infrastrutture di emergenza, rendendo il compito di identificazione delle vittime ancora più difficile; per cui uno sforzo coordinato da parte della comunità internazionale può notevolmente accelerare il processo di recupero e di identificazione delle vittime, consentendo alle famiglie di iniziare il processo di guarigione e alla società di ricostruire, e, nei casi di attacchi terroristici, di individuare possibili aggressori.
Le attività DVI dell’Interpool sono supportate da un Direttivo e un Comitato permanente per il Disaster Victim Identification, entrambi costituiti da esperti forensi e membri della polizia. Il direttivo formula la politica del DVI e la pianificazione strategica, mentre il Comitato permanente si riunisce regolarmente per discutere il miglioramento delle procedure e delle norme in materia di DVI.
L’intervento dell’Interpool a favore dei paesi coinvolti comprende, secondo il programma DVI:
· Una guida DVI;
· L’assistenza del Centro di comando e di coordinamento presso il Segretariato generale dell’Interpol di Lione, in Francia, per l’invio di messaggi tra Uffici centrali nazionali 24 ore su 24 in arabo, inglese, francese o spagnolo;
· Squadra di assistenza su richiesta per supporto investigativo o collegamento on-site per il database dell’Interpol.
Il processo DVI è una sequenza di attività riconosciuta a livello internazionale, sviluppate nell’arco di diversi anni, testato in disastri su larga scala e in molte regioni di tutto il mondo, dimostrando di essere una guida affidabile.
Le
attività pratiche del DVI sono suddivise in:
- Fase 1 Scena: prevede la cristallizzazione dello scenario, quindi nel fotografare ed annotare la posizione dei corpi e dei resti, nonché il loro etichettamento, numerazione, repertazione e trasporto in obitorio
- Fase 2 Post-Mortem: tutti i cadaveri/resti sono registrati e collocati in zone fredde e poi esaminati.
- Fase tre Ante-Mortem: raccolta dei dati relativi alle persone coinvolte, compresi elenchi o verbali di polizia e descrizione degli oggetti personali, quindi gioielli, abbigliamento. Ma anche, laddove fossero disponibili, impronte dentali, storia medica, radiografie, fotografie e campioni di DNA.
- Fase 4 Conciliazione: conciliazione delle informazioni post ed ante-mortem.
Indipendentemente dall’identificabilità a vista o meno, tutti i corpi subiscono la stessa procedura, a garanzia dell’attento processo di qualità, consistente nella dettagliata compilazione di moduli preformati contenenti i dati biometrici individuabili: antropometrici; somatici; segni particolari come nei, piercing e tatuaggi; la tipologia di indumenti e degli oggetti rinvenuti sul corpo.
La scelta di una procedura d’identificazione dipende da: grado di danneggiamento del corpo (parti o corpo intero); accuratezza e affidabilità della metodica; ricorso a dati ante-mortem fruibili; urgenza/necessità logistica per la catena del freddo; la disponibilità di adeguate strutture tecnico/scientifiche; i costi.
Le fonti d’identificazione da utilizzare sono:
Fonti primarie: impronte papillari, caratteristiche dentarie e DNA
Fonti secondarie: dati fisici – età apparente, sesso, altezza, e quando nota etnia-; dati medici –ferite permanenti, segni chirurgici, protesi; abiti.
Tenendo presente tutti i dati e le variabili, per cui, è facile pensare come le squadre d’intervento siano, costituite da competenze specialistiche, quindi, personale specializzato e con esperienza.
Esse sono fondamentali quando si tratta di identificare vittime attraverso l’analisi non solo delle vittime ma anche dei familiari con l’intento di costruire le identità attraverso la stretta analisi dei dati rilevati. Le squadre coordinate e coese comprendono rappresentanti delle principali discipline e squadre di tecnici:
Specialisti | Tecnici |
Patologi forensi | Fotografi |
Medici legali | Esperti di Information Technology |
Odontoiatri forensi | Squadre Interviste |
Dattiloscopisti | Garanti della qualità |
Biologi forensi | Gruppi di raccolta e di gestione delle Evidence |
Antropologi forensi | Manager Mortuary |
Genetisti | Responsabili di Logistica |
Radiologi |
Le scienze forensi quali la genetica forense, l’antropologia forense, l’odontologia e la radiologia forense hanno un ruolo importante nell’identificazione delle vittime di disastri di massa. In caso di disastro di massa sono numerose le segnalazioni bibliografiche che cercano di individuare le modalità più opportune di identificazione delle vittime indicando metodi identificativi “ tradizionali” o esclusivamente genetico forensi. In realtà il “migliore dei modus operandi” in caso di disastro di massa non è così chiaramente identificabile e standardizzato, essendo le caratteristiche di ogni disastro del tutto uniche e variabili da caso a caso. Importante è impiegare un approccio tecnico organizzativo che porti al massimo rendimento delle competenze dei due gruppi che operano in ambito identificativo.
L’importanza del DNA
In questi ultimi anni nei disastri che hanno comportano resti umani frammentati l’analisi del DNA ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di identificazione.
Tale analisi permette:
• l’identificazione delle vittime;
• associare tra di loro i frammenti;
• aiutare la ricostruzione medico legale dell’evento.
La raccolta dei campioni di DNA e di una strategia per l’identificazione delle vittime devono essere parte del piano di preparazione, comprese:
le politiche per la comunicazione/notifica alla famiglia, la conservazione a lungo termine dei campioni e l’archiviazione dei dati.
Questa analisi è di fatto un’analisi di comparazione e pertanto richiede nel processo di identificazione di una persona dei campioni di riferimento della persona o (in mancanza di questi) campioni dei suoi familiari (presunti).
Alla fine il riconoscimento può avvenire:
• In maniera diretta
• Attraverso familiari
• Attraverso Banche dati
Banca dati Nazionale del DNA
Legge 30 giugno 2009, n. 85 “Adesione della Repubblica italiana al Trattato … (Trattato di Prum)…Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca, dati nazionale del DNA…” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 13 luglio 2009 – Supplemento ordinario n. 108.
Come già detto, la Banca dati Nazionale del DNA è una “raccolta (collezione)” di profili genetici che vengono utilizzati a scopo investigativo.
Fasi della procedura per inserimento nel database forense comprendono
• Raccolta di un campione biologico
• Analisi
• Inserimento nel database del PROFILO ottenuto
• Comparazione con gli altri profili genetici,
• Possibile eliminazione dal database
Il profilo genetico che viene inserito consiste in una serie di numeri che rendono unico un soggetto e che possono essere usati solo per scopi forensi. Questi profili genetici non contengono informazioni sulla “condizione genetica del soggetto”.
Art. 7.
(Attività della banca dati nazionale del DNA) raccolta del profilo del DNA dei soggetti di cui
all’articolo 9, commi 1 e 2; raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali; raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati: affronto dei profili del DNA a fini di identificazione.
Riferimenti
www.interpol.int/INTERPOL-expertise/Forensics/DVI
ACPO, Giudance on Disaster Victm Identification.
Budowle B., Bierer F.R., Eisenberg A.J. Forensic aspect of mass disaster: strategic considerations for DNA-based human identification in Legal Medicine, 2005.
Curtotti D. & Saravo L. Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine. 2013, Giappichelli Editore, Torino.